Confederazione Sindacale A.G.L. Alleanza Generale del Lavoro

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domenica 16 settembre 2012

UNIVERSITA' E RICERCA: QUALI PROSPETTIVE?

E' inutile chiudere gli occhi su un fenomeno che oggettivamente sta andando avanti da anni in Italia, quello del progressivo ridimensionamento dell' università attraverso il sostanziale blocco del turn-over , la caduta delle immatricolazioni, il calo dei laureati e l'emigrazione dei cervelli. D'altra parte in Italia, al contrario di ciò che invece è accaduto, ad esempio, negli Stati Uniti, l'immigrazione è fondamentalmente concepita come afflusso di braccia e non di cervelli. E questo è un fattore che peserà in maniera determinante sullo sviluppo, nei prossimi anni, del nostro Paese.
E' controverso se di questa situazione sia causa o effetto la tendenza, da parte dello Stato, a ridurre (negli ultimi anni a tagliare) la spesa pubblica destinata alla istruzione pubblica e una certa concomitante accondiscendenza nell'allentare la tensione rivolta alla verifica che lo sviluppo della concorrente istruzione privata avvenisse effettivamente, come stabilisce la Costituzione, senza oneri per lo Stato stesso. L'attuale compagine governativa, in tal senso , ha trovato il lavoro sporco ormai quasi tutto fatto da Tremonti e, malgrado le intenzioni e i proclami, non è riuscita a invertire la tendenza né a farci intravvedere qualcosa di realmennte alternativo . La conclamata battaglia contro la dispersione scolastica,meritoria nelle intenzioni, non ha potuto approdare, con questi chiari di luna, a nulla di realmente tangibile. Si badi che nel mondo dell'istruzione la situazione è drammatica non solo dal versante dell'occupazione e del precariato ma, soprattutto, da quello della ricerca, fattore prioritario di competitività. In parole povere, anche se non ce ne accorgiamo, con pazienza, da anni, l'Italia sta ponendo le basi del suo futuro declino e sottosviluppo, irreversibili, nel momento in cui umilia e azzera la ricerca. Nell'Università, in particolare, in una situazione di calo delle immatricolazioni e di aumento dei fuoricorso, anche la mera riapertura della possibilità di aumentare sensibilmente le tasse universitarie assomiglia in maniera impressionante all'avvelenamento che provoca l'infermiere maldestro sbagliando l'applicazione della flebo al paziente. Nessuno può pensare che la mano che fermi questo scempio possa levarsi dall'Europa in cui governano proprio i nostri competitor , allettati da un declino del nostro Paese a favore della loro industria. Dobbiamo quindi pensare da soli a salvarci, se ancora siamo in tempo.
Ricordiamo i nostri preoccupanti dati di partenza: riduzione delle immatricolazioni all'università del 10%, laureati italiani al 20% dei giovani (l'UE ce ne chiede almeno il 40%) , un giovane su due che va via dall'Italia è laureato (3000 l'anno- ma è un dato sottostimato perché quelli sono solo coloro che lo ufficializzano cancellandosi dall'anagrafe-, la metà ha meno di 40 anni),immigrati che non operano un ricambio di pari livello culturale in quanto hanno titoli di studio più bassi.
Quello che negli anni '70 era lo slogan di punta dei movimenti di contestazione, il diritto allo studio, è ormai riposto in soffitta da tutti gli operatori del settore e protagonisti della dialettica politica e sociale. Il dato che l'Università sia (per qualcuno debba) essere classista sembra ormai incontrovertibile e irreversibile. E ovviamente , come logica conseguenza, il nepotismo per l'accesso alla docenza conosce una seconda gioventù, come quei parassiti che hanno sviluppato, dopo la tempesta mediatica di qualche anno fa,la resistenza ai più potenti insetticidi. E anche perché i soldi a disposizione sembrano non esserci proprio. In compenso gli istituti per il diritto allo studio spuntano come funghi, Se trovassimo la maniera di far produrre energie dalle scartoffie e dalle poltrone (escludendo la combustione) avremmo risolto il problema del deficit energetico dell'Italia.
La competenza delle Regioni, in materia di diritto allo studio, produce da anni la frammentazione delle politiche, dei flussi di denaro e un potente alibi al ministero. Esiste un grande problema relativo all'orientamento, dato che dopo il primo anno, circa il 23% degli studenti lascia l'Università. E questo abbandono arriva, negli anni successivi, addirittura al 50%.
Esistono precise strategie per ovviare a ciò. La soluzione è meno difficile di quanto si pensi, considerando che copiare, una volta tanto, da altri Paesi europei dove questi fenomeni di abbandono non si verificano, sarebbe dignitoso e meritorio da parte dei nostri governanti. Ma qui vanno a braccetto gli interessi della università privata con quelli dei falsi progressisti, spesso intrisi di pregiudiziali ideologiche incattivite dai fallimenti di lotte pluridecennali.
Che fare per trattenere laureati e ricercatori? Semplice (lo fanno già all'estero): pagarli di più, garantire loro migliori condizioni di lavoro, fare in modo che si “sistemino” nelle istituzioni e nelle imprese italiane, non chiudere loro le opportunità che si presentano, difenderli dai raccomandati, valorizzare il merito.
Fino al 2010 si tentò un piano di rientro ma da allora tutto è bloccato, con risultati insufficienti ad invertire la tendenza. Intendiamoci, la mobilità è un fattore necessario e positivo, nella ricerca come in tante altre attività. Il problema è che questi non tornano più e sfuggono l'Italia come la peste. E l'Italia, in sostituzione a loro, non è neppure in grado di essere appetibile per altri ricercatori stranieri. In Italia, poi, contrariamente a quello che accade all'estero, il contratto a tempo determinato è sinonimo di precarietà e miseria. Stiamo parlando di Università italiane ma anche di Enti di Ricerca, l'ulteriore sbocco, nel quale non c'è certo una situazione migliore. Contrariamente ad altre parti del settore pubblico in cui il blocco del turn-over , dato il progresso tecnologico e informatico, ha effetti positivi in direzione della razionalizzazione delle mansioni e della riduzione del costo del personale e quindi della spesa pubblica, nella ricerca esso è devastante in quanto il continuo ricambio e confronto anche generazionale è un riconosciuto fattore di dinamicità e successo, che rende molto di più di quanto finanziariamente investito. Se blocco del turn-over nella ricerca significa chiusura di spazi per i giovani, è ovvio che si crei un flusso migratorio verso paesi che nell'attuale fase investono molto di più in quel settore. Nell'Università l'ultimo concorso, ricordiamo, è del 2008.
Tutti quelli fatti finora sono bellissimi discorsi ma torniamo alla realtà, di tagli e spending-review Quindi, nel futuro prossimo niente soldi, per il presente utilizzo di residue risorse pubbliche e di fondi regionali o delle fondazioni bancarie private che, al massimo, consentiranno quest'anno, la abilitazione di professori di seconda fascia (l'80 % dei quali però saranno dei ricercatori a tempo indeterminato che verranno, con quei fondi residui,in tal modo, promossi. Forze nuove, come si vede, ben poche Pannicelli caldi quindi (venduti abbastanza bene con effetti annuncio) , altro che crescita fondata sul rilancio della competitività. Pensate che anche per quel risicato 20% vi saranno domande in massa poiché nessuno sa prevedere quando passerà il prossimo treno (concorso). Sembra una scena tratta da “Roma città aperta”.Povera Università italiana!A quanto afferma Profumo (procedure di abilitazione annuale già programmate fino al 2015) non crede di fatto nessuno. Perché non ci sarà più lui e non è il momento da permettersi programmi a medio termine. Il “profumo” (quello solo) c'è ma non costa nulla!
Ci sarebbero, in realtà, altre risorse, quelle europee che, tuttavia, anche in questo campo, riusciamo ad utilizzare mendo di altri Paesi. In sintesi, il problema è nella scarsa capacità di adeguamento alle regole e alle tempistiche europee da parte sia delle istituzioni che della platea di potenziali beneficiari. Non quindi un deficit qualitativo ma organizzativo, che speriamo (ormai per l'attuale tornata di fondi c'è poco da fare) possa essere colmato in occasione dei prossimi bandi.
Ritornando all'aumento delle tasse universitarie per i fuori corso, motivato dal governo con un giro di vite volto a chiedere , rispetto all'investimento finanziario che lo Stato fa per ogni studente, una maggiore e più stringente tempistica che rispetti la durata teorica del corso di studi, troviamo particolarmente odioso che l'idiosincrasia dei politici italiani per la serietà nel mantenere gli impegni, le promesse e nel rispetto dei tempi venga scaricata su giovani (e meno) che hanno coltivato per anni un sogno oneroso non certo , a quel punto, per una aspettativa professionale o di carriera ma per una disinteressata soddisfazione a voler coronare un progetto, tra tanti sacrifici, ivi compresa la condizione di studente lavoratore, spesso in nero.
Lo studio deve essere disinteressato e libero, siamo contro il numero chiuso e per l'abolizione del valore legale del titolo di studio. E' spregevole che si giustifichino mere operazioni di cassa a favore delle baronie accademiche e della burocrazia di sostegno, distruggendo i sogni di tanti giovani.
Se un giovane non ha tempo di andare all'università se non il giorno dell'esame non si capisce proprio quale onere ciò comporti per lo Stato se non quello di garantire lo stipendio a docenti evidentemente poco competitivi , seppur con buone parentele.
Si parla di autonomia e discrezionalità da parte di ogni Università, la quale, tristemente, dovrà scimmiottare i Comuni che stabiliscono l'aliquota IMU. Immaginiamo cosa accadrà...
Tolto il trucco dalla faccia, la realtà di questo governo emerge in modo impietoso. La riforma Gelmini non è stata per nulla corretta. La riforma si dice non è stata rifatta per mancanza di tempo. Qualche pezza, però, qua e là, poteva, con un po' di buona volontà, anche essere collocata. E invece, nulla di nulla.
A nostro parere l'errore di Profumo e della sua maggioranza è quello di condizionare l'operatività della ricerca alla ripresa e non di inventarsi una maniera nella quale la ricerca possa essere la causa di una ripresa. E' ovvio che la fiscalità attuale è incapiente ma altrettanto ovvio che da scelte diverse di dislocazione delle risorse potevano emergere quelle per scuola ricerca e università. Perché NON è vero che TUTTI i settori siano ormai agli sgoccioli . Nella politica, nelle istituzioni, nell'impresa vi sono realtà che ancora potrebbero e dovrebbero dare tanti soldi al Paese. Che non lo si voglia, poi, è un altro paio di maniche. Se i partiti che sostengono Monti hanno l'80% dei voti significa che forse è la gente che deve decidere con più chiarezza cosa vuole dalla politica, quale modello di istruzione le chieda di valorizzare. E poi un'altra domanda “capitale”: conviene davvero al settore privato che le risorse vengano assegnate a una ricerca i cui risultati siano di pubblica utilità? E conviene a Monti e al suo Governo spingere in questa direzione?