Confederazione Sindacale A.G.L. Alleanza Generale del Lavoro

Confederazione Sindacale A.G.L. Alleanza Generale del Lavoro
(confederazione sindacale dei lavoratori) codice fiscale: 97624870156; atto costitutivo (e statuto) registrato presso l'Agenzia delle Entrate, DP I MILANO-UT di Milano 1, in data 04/06/2012, serie 3, n.7107- sede naz.le:Via Antonio Fogazzaro 1, sc.sin. 3° piano, 20135 Milano, tel.3349091761, fax +39/1782736932, Whatsapp 3455242051, e-mail agl.alleanzageneraledellavoro@gmail.com ; e-mail certificata: alleanzageneraledellavoro@pec.it

lunedì 25 marzo 2013

DANIEL PLESEA RESPONSABILE AGL ROMANIA

Daniel Plesea (cell. 3894730850, e-mail ro_daniel@yahoo.com )è stato nominato responsabile nazionale lavoratori romeni dell'ALEI-AGL. A lui i più grandi auguri di buon lavoro. Visitate il sito dedicato, http://agl-europa.blogspot.it .

domenica 24 marzo 2013

LOMBARDIA: NELL'ATTESA DEL NUOVO, AI LAVORATORI NON RESTA CHE PIANGERE

In Lombardia, da qualche settimana, c'è un nuovo governatore il quale , forse memore della lontana esperienza come Ministro del Lavoro, ha inaugurato il proprio mandato incontrando i dirigenti regionali della Triplice sindacale (alla faccia della novità). I quali, quasi sorpresi da tale apertura ed esposizione mediatica, non si sono risparmiati in complimenti ed apprezzamenti. Pur facendo presente che si aspettano da lui fondamentalmente soldi per tamponare l'emergenza sociale che, se andrà avanti di questo passo, rischia di mettere in discussione l'esistenza delle istituzioni nazionali e locali nonché degli stessi sindacati storici.
Qualche organo di stampa, evocando la consapevolezza che da sempre si ha a Milano di essere un po' il laboratorio di tutto quanto sa produrre di nuovo il Paese, ha cercato di personalizzare questa chance di ripresa, individuando le presunte punte di diamante, coloro che in un futuro lontano ricorderemo (speriamo!) essere stati protagonisti della salvezza. Un po' come quelle squadre che, avvicinandosi i mondiali, mettono in vetrina i loro campioni. Sappiamo però non essere infrequente che qualcuno di essi, alla fine della rassegna, deluda , a vantaggio, magari, di qualche altro protagonista che emerge all'improvviso da dietro le quinte. Una delle caratteristiche dei nostri tempi è l'assunzione dell'”impresa” quale bene assoluto. Una volta si era consapevoli che qualsiasi evoluzione non avrebbe potuto verificarsi senza un contributo determinante del mondo del lavoro, inteso come quello dei dipendenti (all'epoca gli atipici non erano diffusi come ora) . Oggi, addirittura, viene , consciamente o meno, identificato il mondo del lavoro e della produzione come costituito unicamente dalle imprese o dagli imprenditori. Il lavoro dipendente o precario viene percepito come una palla al piede, gente incapace di farsi da sé, che accampa solo diritti e si rifiuta di accettare doveri, che vuole essere mantenuta, appunto da chi produce e tira la carretta. Ne discende la svalutazione di tutti coloro che, ad esempio, dirigono i sindacati, conferendo eventualmente, piccoli riconoscimenti solo a quei sindacalisti più responsabili, disponibili al dialogo e al compromesso con quello che una volta si chiamava padronato. Il nostro non è ancora un paese straccione e non c'è dubbio che gran parte di coloro che compongono la classe dirigente imprenditoriale conservano un portamento e dei modi che ancora fanno intravvedere le tracce di quella che tempo fa si chiamava aristocrazia industriale. Sempre in Lombardia, anche la politica, più velocemente che altrove (siamo a Milano, no?) ha saputo cambiare volto (solo quello). L'attuale presidente ha ormai una lunga storia politica ed istituzionale e certe uscite ed episodi rivoluzionari sono solo un lontano ricordo. Sembrerebbe, quindi, uno schieramento pienamente all'altezza dei compiti che l'attendono. Ma qualcosa ci dice che questa è soltanto una speranza che ha poca possibilità di trasformarsi in realtà. Anche se nel salone i balli sono ripresi, l'iceberg si avvicina e i condottieri, per storia personale, non sono, ad una attenta analisi, così rassicuranti. Ad esempio un tratto che li accomuna è quello di essere dei superstiti della bufera che ha colpito i loro partiti e associazioni. E, come accade spesso, non sono sempre i migliori a sopravvivere ai disastri. Uno, ad esempio, è scampato a una mancata estinzione del proprio movimento, presente solo in una parte del paese e con obbiettivi perseguiti solo a parole ma lontani dal tradursi in fatti, dopo una ondata di scandali e sospetti di inquinamento ad opera della criminalità organizzata, dovendo fare fuori un capo vecchio, stanco e malato in fretta e furia, senza un convincente ricambio della classe dirigente. Tanto che il vecchio governatore , appartenente agli alleati/rivali, dopo vent'anni ha lasciato ma sarà difficile che il sistema di potere edificato lasci poi così libero di agire chi è subentrato. Un altro si è visto proiettato ai vertici della sua Associazione, pur , per sua ammissione, non possedendo i requisiti del leader carismatico, dopo la fine del mandato di una presidentessa tanto sensibile alle sirene politiche montiane quanto incapace di cogliere il tentativo, da parte del top manager della più grande industria italiana , solo per perseguire interessi del proprio gruppo, di delegittimare la ragion d'essere di quella storica associazione. Un altro di essi a sua volta subentrato , non di recente, non per meriti propri ma per tamponare il vuoto di un predecessore dimissionario coinvolto in scandali e vicende giudiziarie : Egli verrà ricordato solo per essere stato protagonista di un processo di unificazione delle confederazioni del commercio e dell'artigianato che ha prodotto un entità che oggi conta meno della somma degli addendi, categorie con le quali nessun governo ha mai stretto accordi in prima battuta ma ha solo e sempre chiesto la ratifica (irrefutabile) di intese già raggiunte con soggetti datoriali ben più potenti. Un altro ancora, fresco di nomina, è stato arruolato a causa dei problemi giudiziari dell'ex presidente relativi al periodo in cui egli era a capo di uno dei primi tre gruppi bancari del paese e oggi non trova di meglio che prenderci in giro dichiarando da una parte che vorrà banche indipendenti dalla politica e, subito dopo, che le stesse perseguiranno interessi sociali tramite le fondazioni (che tutti sappiamo essere il veicolo di influenza di certi partiti sulle banche stesse).
Tutti questi signori, rispettabilissimi, non ci spiegano però come sarà possibile, in queste condizioni, che la Lombardia abbia dallo Stato e dal Governo le risorse da redistribuire (seppur le promesse, alle parti sociali, sono state già fatte) e cosa intendano proporre, di nuovo, nelle relazioni sindacali, sempre che si sia convinti che un qualche contributo, dal mondo del lavoro, quello vero, sia necessario e desiderato. Poichè, forse non tutti se ne sono accorti, con questa storia della CGIL e della FIOM che dicono no a tutto (e bloccano qualsiasi modernità) da una parte e , dall'altra, che gli unici sindacati buoni (come gli indiani) sono quelli morti (ossia quelli che firmano con loro accordi in danno dei lavoratori) l'economia è ferma, i soldi non si vedono più, i giovani laureati emigrano e in mezzo rimangono lavoratori, famiglie e micro imprese con i mesi di vita contati. Se sono questi coloro a cui dovremo affidare la ripresa della Lombardia e dell'Italia allora potremo stare davvero freschi.

EMERGENZA SICUREZZA: FACCIAMONE UNA GRANDE OCCASIONE OCCUPAZIONALE

Tutti abbiamo appreso dei fatti di cronaca che hanno innalzato al livello di guardia la domanda di sicurezza, soprattutto nelle grandi città. Ultimo di essi, l'efferato omicidio dell'orefice a Milano.
Non c'è più tempo per le riflessioni: i commercianti hanno fretta di vedere tutelati la loro vita e il loro lavoro. E hanno ragione. Lo Stato e la Politica, anche su questo versante, risultano inadeguati e inconcludenti. Non ci si può più accontentare delle rituali dichiarazioni agli organi di stampa.E per favore, risparmiateci le strumentalizzazioni di parte: tutti i cittadini meritano sicurezza, indipendentemente che siano commercianti o operai, italiani o stranieri, poveri o ricchi.E' ora di finirla di demonizzare l'intervento dei privati nella vigilanza, l'uso delle armi per difesa personale da parte dei cittadini che abbiano i requisiti per possederne, l'uso intelligente della videosorveglianza. Quanto alle forze dell'ordine, le stesse vanno meglio attrezzate, retribuite e organizzate. Ma rassegnamoci al fatto che in società di massa non è possibile mettere un poliziotto di scorta per ogni cittadino a rischio e pertanto una diffusione controllata delle nozioni e degli strumenti di difesa personale è il futuro, da affrontare e gestire serenamente. Esistono fasce di cittadini (tra cui proprio i commercianti) disposti a spendere per la loro sicurezza, facciamo in modo che queste risorse vengano impiegate per far crescere l'occupazione delle aziende che si occupano di vigilanza e di fabbricare armi per la difesa personale. Come già avvenuto in altri paesi, anche più piccoli del nostro ma più esposti a rischi diffusi, abituiamoci ad una educazione di massa all'uso consapevole delle armi prima che si crei il paradosso che il malintenzionato abbia libero accesso ad esse, contrariamente al cittadino indifeso. E tutto ciò, nel rispetto della coscienza di ognuno, sia una libera scelta e non un obbligo. Non significa quindi scaricare dalle spalle dello Stato precise responsabilità ma metterlo in condizione di intervenire più efficacemente là dove sia più opportuno e necessario. Come usiamo dire spesso, cerchiamo di non essere pure su questo il fanalino di coda dell'occidente. Chi si scandalizza di ciò vive su un altro pianeta e spesso è il più scortato e tutelato di tutti. Evitiamo di aspettare passivamente l'uccisione del prossimo commerciante, della prossima ex fidanzata o la prossima strage nell'asilo da parte dello squilibrato di turno.


sabato 23 marzo 2013

CREDITI DELLE IMPRESE FORNITRICI NEI CONFRONTI DELLA P.A.: CI SIAMO DIMENTICATI L'ISTITUTO DELLA “COMPENSAZIONE” TRA CREDITI E DEBITI VERSO L'ERARIO?

Qualche tempo fa evocammo una bufala per qualificare la novità della Srl “senza spese notarili “(ma con carico fiscale intatto) . Ecco possiamo ora dire che grazie a Passera quella bufala ha trovato il marito: il “rimborso” alle imprese dei crediti vantati nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni. E' un coro di lamentele e delusioni da parte di tutte le organizzazioni datoriali e le grandi e piccole imprese. Perfino l'ABI (Associazione Bancaria Italiana) ha preso coraggio e dopo la bufera Mussari il nuovo presidente ha sfacciatamente partecipato al coro criticando il governo. Come si diceva in campagna (continuiamo nel filone zootecnico”) è un po' “il bue che dice cornuto all'asino”.
Ma ciò che è più comico è il seguito. Data per scontata l'impossibilità di trovare i soldi occorrenti per tener fede alla promessa (che, al contrario della restituzione dell'IMU, era stata fatta da tutti in campagna elettorale) è un fiorire di ipotesi su quale sia il soggetto cui infliggere il salasso. In particolare ora si parla delle entrate dei Comuni e delle Regioni (non si parla per pudore delle provincie che tutti danno per abolite e invece sono ancora lì come se niente fosse).
Nessuno ricorda invece che il problema sarebbe già risolto se si consentisse piena e generalizzata applicazione di un principio di civiltà da anni recepito nella nostra normativa: la possibilità che il contribuente (tali sono le imprese di cui si parla) possa compensare i debiti verso l'Erario con i crediti vantati nei suoi confronti. Certo, diminuirebbe di colpo il gettito e questo non potrebbe permetterselo una macchina burocratica ipertrofica e autoreferenziale, difetti dei quali abbiamo parlato più volte in altri interventi. Indicando anche la soluzione: riorganizzando da zero la Pubblica Amministrazione, costringere le banche, se necessario minacciandole di esproprio, a concedere credito alle imprese, smetterla di ammazzare di tasse il Paese. E se fosse proprio questo l'oggetto del contendere e il motivo dello stallo politico?


PERCHE' , NELL'INTERESSE DEI LAVORATORI, SAREBBE UTILE CHE GRILLO, SE ALL'OPPOSIZIONE, INIZIASSE A COSTITUIRE UN “GOVERNO OMBRA”

Si ha la sensazione che un po' tutti in Italia si sia vittime di una illusione ottica. Si guarda il dito (l'incapacità dei tre schieramenti e mezzo di mettersi d'accordo) e non si osserva la luna: la realtà di un Paese spaccato socialmente e che non può trovare un compromesso in economia. La via d'uscita non è in un accordo tra partiti (poiché essi rappresentano solo una società politica allargata) ma tra componenti antagoniste della società italiana che induca i partiti a svolgere il loro compito di sintesi politica.
La vicenda dei crediti delle imprese nei confronti della Pubblica Amministrazione è esemplare. Non ha funzionato la ricetta di Monti (far scontare questi crediti dalle banche le quali si sono tirate indietro perchè, a differenza del passato, oggi lo Stato è valutato come un soggetto inadempiente), non ha convinto la soluzione Grilli innanzitutto Confindustria ma anche le altre rappresentanze imprenditoriali. Con i tempi che corrono, occorre veramente una gran faccia tosta a stampare titoli del debito pubblico e a tentare di pagare con quelli, anziché con soldi veri, imprese ormai alla canna del gas. Senza contare poi i tempi di pagamento eccessivamente lunghi (18 mesi) e il fatto che il pagamento non sarebbe completo ma solo il 20% del necessario. Come scusante per il governo (uscente?) c'è senz'altro da dire che lo stesso ha il compito di sbrigare solo gli affari correnti in attesa di passare la mano al nuovo. Ma per gli osservatori e per coloro che incrociano le armi della dialettica su questa questione non ci sono scusanti. Se lo Stato non ha più soldi veri in generale da spendere non si capisce come e con quali risorse potrebbe pagare i 48 miliardi chiesti da Squinzi. Noi, modestamente, avevamo evidenziato la contraddizione già la settimana scorsa. Possiamo capire il gioco della polemica politica ma vorremmo ricordare che da un po' di tempo ci sono imprenditori e lavoratori che si suicidano perchè le loro aziende vanno in rovina e ciò non senza colpe da parte della politica e della pubblica amministrazione. Quindi non scherziamo. Su questa questione è chiaro come vi sia una tensione tra burocrazia da una parte (rappresentata politicamente da chi sappiamo) e mondo della piccola impresa (a sua volta rappresentata da un altro schieramento) . Quella dei fondi per gli ammortizzatori sociali (che si dice si esauriranno entro l'estate) è un'altra bomba ad orologeria. Finanziarli significa dover aumentare le tasse, ma aumentarle significa spingere ancor più nel burrone quelle aziende che hanno esubero di lavoratori. Anche qui si registra una tensione tra mondo delle imprese da una parte , lavoratori, burocrazia. Tre soggetti che stanno affogando, che per salvarsi cercano di appoggiarsi sugli altri due. Tra i tre quella che ha maggiori possibilità di salvarsi nell'immediato è la più grassa, quella che galleggia meglio. Ma alla lunga, senza ripresa della produzione, dei salari dei consumi e del gettito, anche il suo destino sembra segnato. Iva e Imu , la loro modulazione, ripropongono lo stesso duello. Non si può chiedere ai partiti (o ad alcuni di essi) di “decidersi”, di provare a governare assieme se prima non si risolve a monte questo conflitto di interessi. Nel quale, purtroppo, il mondo del lavoro sembra incastrato dalla storica convergenza e alleanza di fatto (e sintetizzata all'interno di un preciso schieramento) tra lavoratori e l'insieme degli interessi dello Stato e della burocrazia. Altre forze hanno dimostrato di intuire questo stallo ma di non essere ancora in grado di proporre al Paese una sintesi praticabile. Non è un problema di percentuali né di esperienza, ma di identità: se si è o vuole essere soggetto rivoluzionario nel panorama politico occorre pagare un prezzo in termini di spendibilità nelle istituzioni o nel governo. Nelle democrazie anglosassoni, le più antiche, esiste un istituto, quello del “governo ombra” che obbliga l'opposizione a formare nelle sue fila un governo parallelo che dimostri, con la serietà delle proposte di essere una seria alternativa al governo in carica, preparandosi al proprio turno. Oggi in Italia abbiamo una presenza che si propone, a suo modo, come una alternativa , non solo politica ma di sistema. Tutto molto bello ma il problema è che nel frattempo il Paese sta morendo e, in buona parte dell'elettorato, si sta insinuando il dubbio se sia stata una buona scelta quella di produrre uno shock politico di tale portata. Si parla di proposte valide ma dalla dubbia copertura finanziaria e organicità. Quindi realizzabilità. Purtroppo questo non è il momento di sognare, ma di “fare”, innanzitutto nell'interesse dei lavoratori che faticano a intravvedere l'uscita dal tunnel. Non sarebbe ora che la principale forza di rottura emersa dalle elezioni dimostrasse ai lavoratori la propria concretezza formando un”governo ombra” che ci faccia toccare con mano la serietà di determinati intenti, abilmente esposti in una magistrale campagna elettorale?Chissà che non possa servire per far decidere i dubbiosi e per farci uscire dall'inconciliabilità tra i sopra evocati interessi sociali opposti , retrostanti agli attuali schieramenti politici.


TURISMO, SERVIZI, APPRENDISTATO: ULTIMA OCCASIONE

Dai dati di ISTAT e Confcommercio resi pubblici nei giorni scorsi, anche se ad occhio si percepiva che da quattro anni, ogni giorno, 615 cittadini italiani diventano “poveri”, emergono, per chi abbia veramente intenzione di risollevare il nostro Paese, due precise cose da fare, nell'economia e nel mondo del lavoro.
La prima: prendere atto che l'avanzo positivo tra esportazioni e importazioni si registra per merito di due precisi settori: il turismo e i servizi. E questi sono quelli su cui puntare, sacrificandone altri ormai in decadenza. Già in precedenti interventi l'AGL , trattando di crisi come quelle dell'ILVA, dell'ALCOA e del Carbosulcis o del drammatico ritardo del nostro Meridione, aveva assunto una chiara posizione: è ora di fare delle scelte guardando in faccia alla realtà. Così, prima di noi, hanno fatto e stanno facendo altre economie nostre concorrenti, è ora che ci si dia una mossa. E là dove la politica, per la fase di stallo che si sta verificando, non ne fosse capace, occorre che la responsabilità venga assunta dalle forze sociali, dei lavoratori e imprenditoriali. Gli ammortizzatori sociali sono una necessaria temporanea medicina ma nulla comportano in termini di correzione di rotta sulla via dello sviluppo. Quindi ripetiamo quanto detto, facendo l'esempio dell'ILVA (ma stesso criterio potrebbe essere adottato in altri casi analoghi, presenti e, sicuramente, futuri). L'industria dell'acciaio e del carbone in Italia non ha futuro. Riconvertiamo e dirottiamo sul turismo le forze occupazionali presenti. Investiamo le poche risorse rimaste nei nostri tesori naturali e artistici, facciamo dell'Italia la Florida d'Europa. E (il tema ha avuto successo elettoralmente per chi l'ha proposto) aboliamo i tagli all'istruzione, alla formazione e alla cultura, impiegando le risorse non nel mantenimento di burocrazia, parassitismo e posti clientelari ma in digitalizzazione . Solo investendo in formazione potremo raccogliere, a breve e medio termine, risultati nella competizione nei servizi di alta qualità. E vincere la sfida del futuro: l'export di prodotti ad alto valore aggiunto verso i Paesi “Brics” e “Next Eleven” .Occorre poi (è la seconda cosa da fare subito) riorganizzare da zero l'apprendistato in Italia, sul modello tedesco. In estrema sintesi occorre compiere una operazione di chiarezza e lealtà. L'apprendistato in Italia non funziona poiché dalle imprese è visto come una operazione di puro e semplice risparmio di imposte e contributi e di ricattabilità della forza lavoro. Dai sindacati è tollerato in quanto consente di mantenere per altro tempo il gregge di lavoro subordinato da mungere per perpetuare l'esistenza stessa dei grossi sindacati. Come accade sovente nel nostro Paese, è la versione “all'italiana” di cose che all'estero funzionano a fallire, togliendo a tutti la speranza che qualcosa possa cambiare. Siamo ancora in attesa che chi ha ricevuto maggiori consensi alle elezioni dimostri di volere e sapere fare il lavoro per cui è stato “assunto” , guadagnandosi il cospicuo stipendio. Se continueremo così, il problema si risolverà da solo perchè tra poco non esisterà più neanche l'Italia.


venerdì 22 marzo 2013

SABATO 23.3.2013, ORE 17, MILANO, IL SEGRETARIO GENERALE INCONTRA I LAVORATORI FILIPPINI

Domani, sabato 23.3.2013, alle ore 17, presso la sede AGL di Milano,  il Segretario Generale dell'AGL Roberto Fasciani incontrerà i lavoratori e le lavoratrici filippine.

domenica 17 marzo 2013

L'ANCI HA RAGIONE: SBLOCCHIAMO I PICCOLI CANTIERI

In Italia 20.000 cantieri sono fermi per colpa del patto di stabilità interno.Nove miliardi di euro fermi che se sbloccati potrebbero aiutare i consumi delle famiglie e la salute delle imprese.
Ci associamo all'appello dell'ANCI Associazione dei Comuni Italiani. I Comuni sono pronti a sforare il patto di stabilità. L'Anci farà una manifestazione il 21 marzo a Roma per protestare contro il Patto di stabilità interno . L'AGL aderisce a tale iniziativa che punta ad ottenere una deroga una tantum a livello europeo visto che abbiamo un avanzo primario tra i migliori dei paesi europei. Dunque, un rinvio del pareggio di bilancio.

ECONOMIA: SAPER DISTINGUERE TRA FALSE E VERE SOLUZIONI

Concordiamo con chi osserva che la pur vituperata cura Monti stia producendo, a confronto con altri paesi, pure indebitati meno di noi, un miglioramento relativo della nostra situazione, facendo riferimento al tasso di crescita del debito, al debito aggregato, alla solidità patrimoniale e all'avanzo primario. E ci richiama al rischio che una minore crescita del debito, però, possa condurci ad una maggiore recessione. Pure sul fatto che la maggiore pressione fiscale porti a minore competitività e minori consumi. I dati della nostra industria manifatturiera, della meccanica, dell'agricoltura, rapportati a quelli della concorrenza internazionale, sarebbero confortanti se non fosse per il crollo del nostro mercato interno e per lo svantaggio fiscale comparato delle nostre aziende. La soluzione potrebbe essere quella di forzare i vincoli europei accelerando i pagamenti alle imprese dei debiti della PA e frenare la pressione fiscale. Ma quest'ultima , se attuata, comprometterebbe, riducendo il gettito, la possibilità, per lo Stato, così come organizzato (male) di effettuare i primi. Ecco perchè riteniamo che le vere soluzioni siano due: riorganizzare da zero la Pubblica Amministrazione perchè è solo lì che possono aversi veri risparmi e combattere e vincere la guerra contro il credit crunch iniziando, come Stato, a minacciare di esproprio e nazionalizzazione le imprese bancarie che perseverassero in questa condotta restrittiva del prestito alle imprese e alle famiglie. E' questa la vera, ultima battaglia, da vincere per riappropriarci del nostro destino. Più urgente della riforma elettorale (che non faranno), della riduzione dei costi della politica (importante per il segnale, non per le quantità) e dell'inseguimento di fantasmi analoghi.
La discriminante vera dello scenario politico nell'immediato futuro sarà tra chi vorrà veramente combattere questa guerra nello Stato e nelle Banche e chi non avrà interesse a farlo, resistendo passivamente e in maniera opportunistica ed attendista. Il contesto potrà essere di ripresa dalla crisi o , come si mormora, di fallimento e rovina, ma questo non è prevalentemente nelle nostre mani. La battaglia interna, invece, si.

AUGURIAMO BUON LAVORO AI NUOVI PRESIDENTI DI CAMERA E SENATO. SI IMPEGNINO A FAR APPROVARE CON URGENZA L'AMNISTIA E UNA SANATORIA DI TUTTI GLI STRANIERI IRREGOLARI CON LA CHIUSURA DEI CIE

Finalmente le due Camere neoelette hanno compiuto il loro primo atto. L'elezione dei rispettivi presidenti, due personalità di indiscutibile prestigio: Laura Boldrini (ex Alto Commissario dell'ONU per i rifugiati) e Piero Grasso (ex Procuratore nazionale anti mafia). Ci sono piaciuti i loro discorsi di insediamento nei quali è trasparita l'emozione per avere da oggi la possibilità di portare a un più alto livello istituzionale di impegno gli ideali per cui si sono battuti per una vita. Non è un caso se su queste due personalità si sia formata (per alcuni a sorpresa) una maggioranza (lasciamo perdere, come si è insinuato a posteriori,se ciò sia avvenuto con l'ausilio o meno di qualche franco tiratore, sono particolari se poi tutto è avvenuto a fin di bene).A parole ci hanno fatto capire come sia per loro venuto il momento della “buona” politica e hanno fatto esplicito riferimento al dramma dell'immigrazione clandestina e a quello dell'insostenibile situazione delle carceri. Hanno, come si dice, predicato bene. Sono stati il polo attrattivo di una precisa maggioranza, con un netto orientamento. Bene, esistono alcune questioni, di emergenza ma anche di coscienza, che, come si suol dire, è opportuno che siano risolte non tanto da un governo di parte ma da un'”ampia maggioranza parlamentare”, meglio se trasversale.Ecco: l'amnistia e la sanatoria (con annessa chiusura dei CIE) sono due esempi. Chiediamo, come AGL, che il nuovo Parlamento dimostri subito di essere capace di fare presto e bene ciò che i precedenti non hanno realizzato.

DANIEL PLESEA: “INSIEME PER COSTRUIRE IL FUTURO DI TUTTI”

Saluto tutti i lavoratori del Commercio, del Turismo e dei Servizi della città e della provincia di Milano.
Vorrei presentarmi facendo cenno ad alcune mie importanti esperienze. Pur se relativamente giovane (36 anni) ho una lunga storia di lavoro in molti paesi d'Europa: Belgio, Germania, Francia, Olanda, Ungheria, Bulgaria, Russia, Moldavia, Turchia.
Ho sempre lavorato duramente e solo da poco tempo ho ritenuto fosse il momento di impegnarmi seriamente nel Sindacato. Allo scopo, soprattutto, di poter aiutare e difendere i lavoratori e , cosa più importante, di cercare di cambiare in maniera incisiva il sistema lavorativo e i processi di inserimento al lavoro.
In particolare , poi, non dobbiamo dimenticare che il mondo del lavoro vede ormai una altrettanto importante presenza sia degli uomini che delle donne.
E tutto ciò in una fase di crisi senza precedenti che richiede, ancor più di ieri, la capacità di creare rapporti, collegamenti, sinergie tra tutti gli ambiti produttivi coinvolti.
Ogni parte del mondo del lavoro ha la sua importanza per la nostra crescita economica e per il benessere delle famiglie.
Per questo motivo la mia Federazione cercherà di intervenire con pari forza e incisività in tutti questi settori, nessuno escluso.
Ho intravvisto in quanto fatto fin d'ora dall'AGL proprio questa mia tensione e ciò mi ha convinto ad accettare senza riserve e con entusiasmo la loro proposta che io mi impegnassi con tutto me stesso nell'attività di dirigente sindacale a tempo pieno.
Ho nella mia vita operato nei più vari campi (dal Turismo ai Lapidei) acquisendo numerose specializzazioni professionali . Questa concreta esperienza , indispensabile a mio parere per poter essere un buon sindacalista, sarà senz'altro fondamentale per far crescere il mio gruppo dirigente e la presenza dell'ALCAMS-AGL nelle Aziende. Metterò a disposizione di tutti il mio vissuto.
Mi aspetto di incontrarvi presto di persona e sono a vostra disposizione per affrontare e risolvere insieme ogni problema lavorativo, operando con rispetto per tutti i lavoratori e le Aziende di tutti i rami del nostro settore.

DANIEL PLESEA
Segretario Provinciale di Milano dell'ALCAMS-AGL


ISPEZIONI ALLE COOPERATIVE: TUTTO BLOCCATO PER UN MALINTESO TRA COLLEGHE DIRIGENTI (“IO VORREI...NON VORREI...MA SE VUOI...”)? SOLO QUESTO O C'E' DELL'ALTRO?

L'8 marzo 2013 con una banale e-mail il Ministero dello Sviluppo Economico ha comunicato a tutti gli ispettori di cooperative in servizio presso il Ministero del Lavoro che gli stessi non avrebbero da quel momento più svolto ispezioni su tali società, comprese le ispezioni straordinarie.
Non si ha notizia di interventi da parte dei sindacati interni al Ministero dello Sviluppo Economico, si sono mossi invece solo tre dei sette sindacati “rappresentativi” (cioè che hanno superato la soglia del 5%) interni al Ministero del Lavoro con un comunicato ossequioso nel quale premettendo (come si usa fare da anni da parte dei sindacati ministeriali, notoriamente più realisti del re) di non volere entrare nelle valutazioni di un altro Ministero ,cioè del dirigente responsabile, hanno chiesto di risolvere il problema e un urgente incontro. Silenzio da parte di tutti gli altri soggetti potenzialmente interessati, sia all'interno che all'esterno della Pubblica Amministrazione.
Con insolita prontezza, sei giorni dopo, parte una lettera del Ministero del Lavoro al Ministero dello Sviluppo Economico che la dice lunga sullo stato pietoso a cui è giunta la dirigenza ministeriale oltre alla colpevole irresponsabilità del livello politico.
Non sapendo a cosa attaccarsi per rassicurare i sindacati interpellanti, la dirigente non trova niente di meglio che rispondere all'altro ministero basandosi su una allusione contenuta nella email da cui si capirebbe che l'una avrebbe interpretato male una circolare dell'altra. In sintesi: c'è una nuova norma anti corruzione, il Lavoro emana una circolare applicativa che richiama l'attenzione sulle attività extra istituzionali dei funzionari, lo Sviluppo Economico (abituato a rapportarsi agli imprenditori, quindi ad andare al sodo) capisce che deve staccare la spina agli ispettori di cooperative dell'altra Amministrazione. Alla fine, pure la dirigente chiede un incontro alla collega che ancora non si sa se verrà concesso e se sarà risolutivo. E i tre sindacati (per carità, accontentiamoci, una volta giravano- o giravano loro - la testa) stanno a guardare. Figuriamoci gli altri quattro che sono rimasti silenti. Così come le Centrali cooperative che fino a poco tempo fa sbraitavano contro la concorrenza sleale delle cooperative non aderenti insufficientemente vigilate. Come le Confederazioni Sindacali nostre concorrenti, con i loro partner datoriali di riferimento, autrici di campagne contro il dumping contrattuale. Così come i sindacati antagonisti, che nelle cooperative sono molto attivi, così come le istituzioni pubbliche, che con le cooperative stipulano contratti di appalto. Eppure le cooperative sono al centro delle grandi opere, della TAV , di Expo 2015, dei lavori pubblici, così come nell'edilizia (ricordiamo scandali recenti), nel Consumo (le famose Coop della pubblicità), nell'agricoltura, nel godere di agevolazioni e contributi di vario tipo, nel Sociale, nei Trasporti e nella Logistica. Neppure alla politica questo avvenimento sembra interessare, in quanto si è distratti da ben altro. E per fortuna che il Governo Monti, Passera e la Fornero sono rimasti in carica solo per sbrigare gli affari correnti...
Questo in realtà è il terzo grande attacco alla vigilanza cooperativa. Nel 2003 un gruppo di dirigenti del Ministero del Lavoro ritenne di dover “smantellare” questa funzione dal Ministero, perseguitando per tre anni gli ispettori in attività, in quanto voluto da non meglio precisate entità politiche e sociali. Nel 2007 avvenne per due anni un blocco di fatto attuato da dirigenti delle Amministrazioni del Lavoro, dello Sviluppo Economico e dell'Economia, interrompendo a livello nazionale le assegnazioni di incarichi giustificando ciò con la mancanza di fondi, dirottati chissà dove (in realtà soldi pagati dalle cooperative con un sostanzioso contributo biennale di revisione).
Ora, guarda caso, in un momento in cui sta per divenire presidente del consiglio il più grande “amico” delle cooperative nello schieramento politico italiano, in cui le cooperative aderenti alle Centrali sono impegnate in appalti , sopra ricordati, di grandissima rilevanza e in cui alcune cooperative non aderenti hanno ripreso alla grande a svolgere attività non autorizzata di somministrazione di lavoro (per lo più straniero, sfruttato, sottopagato), la cooperazione spuria viene utilizzata per dirottarvi lavoratori in esubero per crisi aziendali, una serie di interessi trasversali vanno ad incrociarsi e a perseguire un unico obbiettivo: quello che vi siano meno occhi possibili (anzi, nessuno) a controllare se le cooperative si comportino correttamente. Siamo alla vigilia di altri due o tre anni di paralisi? Ecco, ci piacerebbe che chi è stato eletto al Parlamento in nome del nuovo che avanza ci dimostrasse di essere capace di iniziare a infilare il dito nella piaga. Per esempio togliendo alle Centrali la possibilità di effettuare i controlli sulle proprie cooperative e demandando tutta l'attività allo Stato, utilizzando appieno la forza ispettiva presente nel Ministero del Lavoro. E mandando a casa d'ora in poi (preavvisandolo, come gradiscono al Ministero del Lavoro) qualsiasi dirigente che remasse contro agli interessi della propria, delle altre amministrazioni e della collettività (in questo caso, i cittadini che ripongono fiducia nelle cooperative). Come avrete capito, siamo italiani e amiamo il contropiede.

AGL Ispettori di Società Cooperative

NUOVO SEGRETARIO PROVINCIALE DI MILANO DELL'ALCAMS-AGL

E' Daniel Vasile Plesea cui tutta la Confederazione rivolge i migliori auguri di buon lavoro.
Questi i suoi recapiti:cell. 3894730850, e-mail ro_daniel@yahoo.com
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domenica 10 marzo 2013

CODICE DI COMPORTAMENTO PER GLI STATALI: INADEGUATO A MIGLIORARE I RAPPORTI CON LA PA, ALL'INDOMANI DELLA TRAGEDIA DI PERUGIA

A parte un dettaglio ormai consueto (la mancata consultazione, per altro non prevista come obbligatoria dalla norma di riferimento dei sindacati rappresentativi, di cui ci onoriamo, ormai si sarà capito, di non far parte) la prima anomalia che a noi salta all'occhio, parlando di questo nuovo codice, è l'asserita sua “novità”. Intendiamo dire che è veramente stupefacente che finora non fosse esistito, in maniera generalizzata, per tutti gli statali, un codice di questo tipo. In realtà qualcosa esisteva (ed esiste) su questi argomenti: una serie di circolari della funzione pubblica o delle varie amministrazioni che costituiva un insieme abbastanza disordinato di disposizioni nate per reagire a comportamenti censurabili che però non si colpivano (non si volevano colpire) perchè mancava, a priori, la regola generale (cioè riguardavano persone che non era opportuno colpire). E' a suo modo (in Italia abbiamo inventato pure questo) una specie di Testo Unico delle circolari (con buona pace di coloro che ritenevano che le circolari non avessero autonoma forza normativa).Quindi , prima perplessità, prima non esisteva nulla del genere. Forse, considerando che siamo nel 2013, c'è stato un po' di ritardo. Seconda perplessità: l'atto è stato adottato da un governo tecnico che poi si è scoperto guidato da un politico schierato, non prima ma dopo le elezioni , per evitare evidentemente di perdere qualche voto. In Italia attendiamo da tempo una legge seria contro la corruzione, una legge efficace contro il conflitto di interessi, una razionalizzazione e uno snellimento della Pubblica Amministrazione in nome di un giusto risparmio in presenza del debito pubblico che tutti conosciamo. Evidentemente però la montagna ha partorito un topolino: blocco degli stipendi a tutto il 2014 per gli statali, questo codice di comportamento, esuberi a migliaia di poveri cristi di impiegati pagati con un sussidio, amministrazioni che crescono nel numero, spese della PA che aumentano con riferimento all'acquisto di risorse. La digitalizzazione è un miraggio che neppure il varo tardivo in questi giorni dell'agenda da parte di Passera ha reso più tangibile: non ci crede, in realtà, nessuno.
Altra stranezza. Se intendiamo quella degli statali come una categoria omogenea (qualcuno parla di casta) che necessita di un recupero di credibilità , anche in presenza di una autorevolezza della PA che è crollata verticalmente, ebbene, calare un codice di questo tipo dall'alto (strano che qualcuno non se ne sia accorto) cancella definitivamente ogni credibilità della categoria verso l'esterno. Per il semplice motivo che non è altro che la codificazione di una serie di banali regole di buon senso imposta ad una massa che evidentemente è assimilata dal Governo ad un gregge di pecoroni disubbidienti e indisciplinati, oltre che fannulloni. Se ci pensate bene, neppure Brunetta era giunto a tanto. La sua guerra dava dignità alla categoria, cui si riconosceva una pericolosità propria di un nemico altrettanto forte come l'ex ministro. Qui si è tornati al passato, al quarantennio democristiano se non addirittura al ventennio. L'unico scopo è quello di avviare una escalation disciplinare con valenza essenzialmente espulsiva che sia d'ausilio all'operazione esuberi evidentemente debole nei suoi presupposti.
In realtà sarebbe stato salvato l'onore degli statali (riconosciamo però che la cosa non ha molto destato il loro interesse) l'adozione, come fanno le più importanti categorie professionali, di un codice di autoregolamentazione, che fosse recepito in un atto normativo. Esisteva un livello di mediazione per realizzare ciò: quello dei sindacati rappresentativi che però non hanno avuto il coraggio (o forse solo la prontezza di riflessi) di anticipare il governo su questo terreno. E, per inciso, nasce spontanea una domanda che ci permettiamo , come organizzazione sindacale nata da 9 mesi, di rivolgere ai nostri 3 milioni di colleghi: se la contrattazione e gli stipendi sono bloccati e se neppure su questo il governo desidera conoscere l'orientamento dei suoi “collaboratori” e dei loro sindacati, voi a marzo dell'anno scorso cosa avete votato a fare nelle elezioni delle RSU?
Il resto sono particolari. Ridicolo il limite ai regali ma soprattutto la differenziazione interna sulla base delle mansioni e dell'amministrazione di appartenenza. Gravissimo (e sintomatico) invece che non sia passato l'altro decreto che era in programma , quello che prevedeva limitazioni per i soli dirigenti, relativo alle condanne penali subite e al passaggio da ruoli politici alla dirigenza. Così come una inammissibile limitazione della libertà e della privacy quella di dichiarare a quali associazioni si sia iscritti. C'è chi subito ha inneggiato a una nuova storica svolta nel rapporto tra cittadini e PA. Caso vuole che questo codice abbia visto la luce casualmente in coincidenza dell'uccisione, a Perugia, presso la Regione Umbria, di due incolpevoli impiegate da parte di uno squilibrato le cui condizioni di salute certo non sono state migliorate (anzi) dal rapporto da lui avuto, negli ultimi mesi con la macchina burocratica. Rivolgiamo un pensiero alla memoria delle due povere colleghe, auspicando che fatti così terribili non abbiano a ripetersi. Diciamo però al Ministro Patroni Griffi , al suo successore e alle forze politiche di non dimenticare mai che la crisi nel rapporto tra cittadini, lavoratori, imprese e la PA non è tanto provocata dal patetico “lei non sa chi sono io” né dalla penna regalata al dirigente ma dal mancato pagamento dei debiti della PA ai privati, dalla durata biblica dei procedimenti, dai disservizi, dall'infedeltà e dalla corruzione. Non aiutano a risolvere ciò gli stipendi da fame degli impiegati, il blocco dei contratti, l'ottusità di certi dirigenti. Speriamo che i sindacati rappresentativi , da voi scelti nella scorsa tornata elettorale, sappiano adeguatamente parlare al nuovo governo di queste questioni.

ESODATI: QUEL PASTICCIACCIO BRUTTO DI VIA FLAVIA

In altri interventi abbiamo sostenuto (e ci rincresce di farlo da soli ma forse è la prova che siamo estranei alla politica elettorale) che occorrerebbe (data la gravità del debito pubblico) cominciare a affrontare la questione esodati da un punto di vista diverso da quello meramente previdenziale (di fatto trasformatosi in assistenziale) , ragionando su soluzioni alternative e dinamiche, anche al di là delle sabbie mobili dei diritti acquisiti nonché delle umane aspettative di chi qualche tempo fa si era organizzato la vita in una maniera per vedersela sconvolta dall'intervento di una fino ad allora sconosciuta professoressa torinese.
Abbiamo dato per ormai acquisito che le elezioni non le ha vinte nessuno, neanche quello schieramento che con più forza aveva messo sul piatto la questione esodati pur non riconoscendo, in maniera autocritica, che se non avesse sostenuto la riforma Fornero coi suoi voti in Parlamento, la stessa non avrebbe rovinato la vita (chissà per quanto tempo) a quelle migliaia di italiani.
Il cerino quindi, suo malgrado, finchè non ci sarà un'altra compagine, è ritornato in mano all'inquilina di Via Flavia (in realtà Via Veneto) . E ormai, sugli esodati, è consumato e il fuoco sta cominciando a bruciare la mano. Il perchè è presto detto.Ricordate i 130.000 esodati riconosciuti dalla Fornero (una parte dei 390.000 stimati dall'INPS) in un certo senso fortunati in quanto solo per loro sembrava partito un meccanismo di salvaguardia?Due decreti già li hanno interessati (salva-italia e spending review) e un terzo sta per essere emanato come conseguenza della legge di stabilità. Ebbene nessuno dei 130.000 , per un motivo o per l'altro, ancora ha ricevuto l'assegno (cioè i soldi) . Solo una piccola parte ha ricevuto la comunicazione di avere il diritto (per ora dovranno accontentarsi di mangiare quella). Ma, come onestamente fatto da noi presente in precedenti interventi, ogni ministro ha l'alta dirigenza che si merita (anche quella per il momento è rimasta impermeabile agli sconvolgimenti elettorali: non si è superpremiati a caso...):entro il 20 febbraio le aziende dovevano comunicare al Ministero del Lavoro i nominativi dei lavoratori che sono stati incentivati all'esodo entro il 31.12.2012. Tutto saltato (se ne facciano una ragione le decine di migliaia di lavoratori coinvolti i quali, siamo sicuri, non ne saranno sorpresi) in quanto al ministero si sono dimenticati di fornire le istruzioni necessarie all'invio delle segnalazioni. Quando si dice essere all'altezza delle sfide e raggiungere gli obbiettivi.

MILANO: 5 MILA LE CASE SFITTE ALER, 3000 QUELLE COMUNALI. MA QUANTE QUELLE OCCUPATE ABUSIVAMENTE?

Anche l'AIAM-AGL , Federazione Inquilini , Assegnatari e Mutuatari aderente alla confederazione AGL sollecita il Governatore Maroni e il Sindaco Pisapia ad affrontare prioritariamente la grave questione degli alloggi sfitti, a Milano, richiamando tutte le forze politiche e sociali ad una unità di intenti nell'affrontare sollecitamente l'emergenza abitativa di migliaia di famiglie, molte delle quali, in crisi, sono incappate in sfratti per involontaria morosità. Appare altresì urgente, per motivi di trasparenza e di rispetto della legalità, per evitare un pericoloso scollamento tra istanze delle famiglie bisognose e istituzioni, fare una volta per tutte chiarezza sull'annosa questione delle case sfitte occupate abusivamente, censendo le stesse e intervenendo in maniera graduale, accorta ma decisa, distinguendo tra situazioni di effettivo e urgente bisogno, magari non emerso per ritardi burocratici e quelle di ingiusta prevaricazione. Ed evitando discriminazioni tra famiglie rimaste in silenzio ed altre che hanno ritenuto opportuno tutelare i propri interessi attraverso movimenti di varia natura i quali se hanno il merito di aver posto all'attenzione dell'opinione pubblica situazioni emergenziali che altrimenti sarebbero rimaste sconosciute saranno sicuramente i primi a desiderare che ogni cittadino acceda all'alloggio sociale in base al suo effettivo stato di bisogno.

EMERGENZA SANITARIA PER I PRODOTTI ALIMENTARI: ATTENZIONE ALLA CONTRAFFAZIONE (ANCHE DEI NOSTRI CERVELLI)

Tutti abbiamo seguito il succedersi di notizie inquietanti emerse per l'essenziale opera di controllo svolta dai NAS dei Carabinieri, che non finiremo mai di ringraziare. Ci auguriamo che l'allarme sociale che si sta diffondendo non si spenga magari per il sopraggiungere di eventi di più alta risonanza nell'ambito della cronaca nera ma produca una buona volta dei cambiamenti concreti. Innanzitutto: non è più possibile che dei criminali che avariano e mettono in commercio cibo pericoloso se la cavino con semplici sanzioni amministrative. Occorre che sia la giustizia penale ad occuparsene, con pene severissime e certe nell'esecuzione. E poi, in caso di flagranza, occorre immediatamente che vengano resi pubblici nomi, cognomi, marchi e ditte coinvolte. Solo così nelle aziende private verrebbe elevato ai massimi livelli il sistema dei controlli interni. Ma non basta, perchè altrimenti, come sempre avviene in Italia, sarebbero solo i lavoratori del settore a pagare. Occorre che gli imprenditori che si macchino di comportamenti così gravi abbiano il patrimonio sequestrato e siano espulsi dal settore, non potendosi più occupare da quel momento di settore alimentare. E poi diciamoci la verità: ognuno di noi sa che questo sistema di etichettatura è fallito. Pensare di poter scoprire il pericolo attraverso la lettura dell'etichetta è come immaginare che i criminali vadano in giro auto etichettandosi come tali. E' ovvio che il contenuto , se non a norma, sarà sempre collegato a etichette fasulle, indipendentemente dall'Europa, le cui multinazionali purtroppo hanno nel settore precisi interessi che le stesse sanno ottimamente tutelare. Sul controllo ex post siamo tranquilli. I NAS sanno come intervenire. Ciò che preoccupa è la prevenzione da parte dei consumatori, dei lavoratori e delle imprese oneste. Occorre adottare misure straordinarie come ad esempio, l'illicenziabilità, la protezione e premi in denaro a quei lavoratori che nel processo produttivo vengano a conoscenza di illeciti nella preparazione degli alimenti e abbiano paura a denunciarli. E' inutile parlare di rapporto di fiducia tra chi vende e chi compra. I supermercati hanno una ragion d'essere oggettiva nella efficienza e nella convenienza ma sono delle SpA e quindi impersonali. Il vecchio generi alimentari ormai svolge un ruolo di nicchia, servendo solo chi se lo può permettere, dati i prezzi.E' vero, la crisi economica ha indotto un abbassamento dei consumi a livello bellico e questo provoca una guerra sui prezzi. Ma la soluzione non è quella di demonizzare chi pratica un prezzo più basso (attenzione, sono gli stessi supermercati a farlo, vendendo prodotti con la loro etichetta) ma semmai costringere chi pratica tali prezzi stracciati a oneri informativi maggiori, anche oltre l'etichetta (pensiamo a quanto già fa una nota rete di fast food Usa presente massicciamente in Italia) . Un'altra misura importante sarebbe quella della partecipazione di tutti i consumatori a un opera informativa diffusa e in rete (meglio se organizzata e gestita dagli stessi NAS) su ogni anomalia registrata in sede di acquisto. Quante volte abbiamo acquistato un prodotto apparentemente di marca e sicuro e abbiamo accusato dei disturbi, anche se lievi? Così come si è educato alla raccolta differenziata, abituiamo la gente alla denuncia diffusa di tutto quanto è anomalo, facendo conservare le confezioni sospette. Non illudiamoci. Finchè ci sarà la crisi comunque il consumatore sarà propenso a comprare il cibo a un prezzo minore rischiando.E poi, così come in azienda esiste un responsabile della sicurezza sul lavoro che risponde di quanto accada, esiste, nelle aziende alimentari, una persona fisica , con nome e cognome, responsabile della genuinità degli alimenti e a cui siano dati i poteri di controllo tali da poter svolgere effettivamente il proprio compito?E che sia immediatamente interpellabile dai Carabinieri e dalla Magistratura?
Altro che le sciocchezze relative al comprare solo italiano o a fidarsi dell'etichettatura, della data di scadenza, della provenienza, del luogo di confezionamento o del marchio dop e igp. E' una vergogna che, in una occasione in cui si parla della vita umana, delle aziende o delle associazioni datoriali non trovino di meglio che farsi una pubblicità occulta: un vero e proprio sciacallaggio.
Passando dal piano dei consumi a quello politico, è evidente che molto debba essere rivisto relativamente a quanto i governi fanno a favore del settore agroalimentare e di quello agricolo, di cui ben conosciamo la potenzialità occupazionale e nell'export. Non vorremmo però che una classe imprenditoriale italiana incapace a tenere il passo con il nuovo e desiderosa di non affrontare questioni che attengono alla condizione dei lavoratori, ci trascinasse in una assurda guerra su base europea, facendoci credere che dietro tutti i problemi del settore vi sia solo una volontà di annessione e conquista da parte delle potenze europee del settore e non invece una inadeguatezza e una selezione naturale tra aziende e sistemi paese che nello stesso continente hanno differenti capacità di competere. Lotta alla contraffazione alimentare quindi ma anche allo sfruttamento dei lavoratori italiani e immigrati, ai bassi salari e alla mistificazioni del mondo dell'informazione indotte dal vecchio capitalismo agrario italico e dai suoi servi politici e sindacali.

SICUREZZA DEI LAVORATORI ITALIANI ALL'ESTERO: OPERATO DI GOVERNO E AZIENDE GRAVEMENTE INSUFFICIENTE

I recenti fatti avvenuti in Nigeria, collegati ad altri avvenimenti, drammi e tragedie, più o meno lontani, ci inducono a soffermarci sul tema della sicurezza degli italiani che si trovano nella necessità di andare a lavorare all'estero, in zone spesso pericolose. Anche se ne veniamo a conoscenza ogni tanto, pensandoci bene, il panorama di queste figure professionali è molto vario. Giornalisti, insegnanti, tecnici, ingegneri, volontari, ecc. Per non parlare dei militari, ma qui la soluzione è più semplice: farli tornare tutti a casa anche se per molti di loro questa è l'occasione di guadagnare ciò che in Italia sarebbe arduo racimolare e quindi di dare una svolta alla vita delle loro famiglie, potendosi comprare una casa o organizzare una attività nella futura vita civile.
Abbiamo notato che l'argomento è molto usato nella polemica politica ciò non dovrebbe far dimenticare le responsabilità delle Aziende private in questa questione. Seppur malandata e con le pezze al sedere, non dimentichiamo infatti che l'Italia è storicamente una tra le ex potenze coloniali, che ciò ha creato risentimento negli anni nei nostri confronti. Inoltre esistono multinazionali italiane che si comportano in certi paesi come le peggiori entità imperialiste e neo coloniali, anche se questo argomento è tra quelli sgradevoli e quindi poco presenti nelle inchieste giornalistiche. Mentre i dirigenti di queste multinazionali sono super protetti, è netta la sensazione che il resto del personale sia mandato allo sbaraglio e periodicamente (mal comune mezzo gaudio?) accade che qualcuno di loro, al pari di colleghi di altri paesi occidentali, finisca nelle grinfie di spietati gruppi terroristici .Stante quanto sopra, sarebbe quindi arrivata l'ora che non tanto noi che abbiamo solo possibilità di denuncia ma soprattutto Parlamento e partiti adottino tutte quelle misure tali da obbligare queste aziende italiane a farsi carico, anche con investimenti privati, della sicurezza dei nostri lavoratori. Meglio prevenire i guai che farneticare poi, quando la frittata è fatta, sull'utilità di blitz e teste di cuoio, che le tragiche esperienze fallimentari realizzate da paesi meglio attrezzati militarmente di noi ci avvertono essere tecnicamente poco fattibili, data il contesto ambientale e la concezione della vita umana propria di quei terroristi. E' giusto dunque che di sicurezza sul lavoro all'estero si cominci a parlare anche in queste occasioni. D'altra parte criticare il governo anche su queste questioni è come sparare sulla croce rossa. Politicamente, all'estero, siamo da anni delle nullità (qualsiasi sia lo schieramento che abbia formato le compagini) e di conseguenza i margini di sicurezza dei nostri connazionali che lavorano all'estero in zone difficili sono ridotte al lumicino. E quando si è tentato qualcosa di più (l'intervento della Marina e dei Marò per combattere la pirateria oppure l'intervento dei servizi in situazioni in cui svolgevano un ruolo potenze addirittura nostre alleate) si è poi visto cosa siamo riusciti a combinare.

BRIDGESTONE DI MODUGNO (BA): SIAMO SOLIDALI SOLO CON I DIPENDENTI

La vicenda della Bridgestone dovrebbe svegliare i lavoratori pugliesi da un lungo sonno nel quale si sono generate varie tipologie di mostri: imprenditoriali, politici, sindacali e amministrativi. E' ovvio che un annuncio così improvviso abbia spiazzato tutti. Quello che invece è sospetta è la solidarietà pelosa di tutti gli altri soggetti di cui sopra e il polverone mediatico. Come se qualcuno avesse interesse ad aumentare la confusione temendo che, a partire dalla riunione che si terrà il 14 marzo al Ministero dello Sviluppo Economico (come del resto avvenuto per tutte le altre crisi aziendali) emergano, dai dati presentati dalla multinazionale giapponese, responsabilità precise della classe dirigente italiana e dei suoi sodali sindacali e locali. E la Puglia non è una regione qualsiasi, lo si è visto nelle recenti tornate elettorali, lo si è cominciato a capire dalla vicenda dell'ILVA di Taranto. Questa regione può diventare, è l'impressione di tutti gli osservatori, il casus belli, l'inizio della fine per il sistema italia, l'epicentro della scossa che scatenerà lo tsunami definitivo.Era meglio che l'annuncio fosse stato dato o no, relativamente alle intenzioni? In queste cose non è meglio la chiarezza piuttosto che il solito minestrone all'Italiana? E come mai il propagandato nuovo modello di sviluppo concepito da colui che governa la regione da otto anni, dopo tutto questo tempo non ha saputo creare alternative locali allo sviluppo portato dalle multinazionali? Ci auguriamo che alla fine la Bridgestone non chiuda ma auspichiamo anche che esca fuori la verità sul motivo della decisione dell'Azienda in modo che chi sarebbe esposto alle peggiori conseguenze possa trarre le sue conclusioni sulle capacità dei sindacati che ha scelto come rappresentanti e dei politici che ha scelto come amministratori locali, parlamentari e ministri di pensare a idee alternative di sviluppo che creino posti di lavoro durevoli.

RIFORMA DEL LAVORO POST ELEZIONI (ARTICOLO SCONSIGLIATO PER I SOGGETTI IMPRESSIONABILI)

Come noto, non è emerso un vero vincitore dalle elezioni italiane. Là dove, su specifici temi, tra uno schieramento e l'altro ,vi erano sensibili differenze, ciò dovrebbe essere di conforto per chi temeva, trattandosi di rimedi tutti peggiori del male, che un punto di vista avesse prevalso sull'altro. Un esempio è quello delle politiche del lavoro. Chi avreste buttato giù dalla torre tra i Ministri del Lavoro in pectore, ognuno di un diverso schieramento? Ossia tra Sacconi/Cazzola, Ichino/Fornero, Dell'Aringa/Damiano/Vendola, x/y (grillini)? Poiché siamo contro le soluzioni violente avremmo preferito buttarci noi, per non spargere sangue altrui. Ma il bello è ora che per arrivare a un compromesso è possibile che un dato schieramento, pur di non perdere il governo, sia disposto ad adottare le tesi lavoristiche dell'altro schieramento. Facile, se si pensa che si tratta di soluzioni inadeguate, irrealizzabili o fallimentari. Diciamo che anni di esperienza , anche recente, ci hanno sicuramente indicato cosa non fare. E' implicito che la verità sia in comportamenti differenti. Quali?Adesso non chiedeteci troppo. Anche perchè nelle politiche del lavoro si potrà fare qualcosa di valido a condizione che già si siano fatte altre cose, apparentemente distanti dall'ambito di competenza del Ministero di Via Flavia. Primo criterio: mandiamo in vacanza (una volta si parlava di anno sabbatico) tutti i giuslavoristi italiani (che non hanno scuse perchè o hanno fatto i ministri o ne erano i bracci destri). Facciamo a meno di loro in quanto i risultati raggiunti dalle riforme tentate dagli anni novanta ad oggi ci hanno dimostrato che questi scienziati ancora hanno tanto da studiare (soprattutto la realtà del mondo del lavoro) e in queste condizioni fanno solo danni. Se gli ingegneri si dimostrano incapaci forse sarà il momento di dare un po' di spazio ai geometri: non si sa mai che riescano ad indovinarci. Poi: evitiamo di creare nuovi equilibri, tra una forma e l'altra di lavoro, operando sulla dialettica più costi/meno costi, svantaggi/vantaggi. E' il mercato del lavoro (di solito più veloce di chiunque altro) a stabilire, a posteriori la validità dell'una o dell'altra soluzione. In genere quella che vince è la soluzione più semplice, meno burocratica e meno foriera di tasse variamente travestite. Ecco, questo crediamo potrà essere il vero merito storico della riforma Fornero: costituire in un certo senso la Bibbia di tutto quello che non va fatto sul lavoro, un gigantesco ed insuperabile esempio in negativo che in quanto tale è perfetto come un opera d'arte e sarà studiato dai posteri. Chiedere ai consulenti del lavoro per averne conferma. Altra cosa da non fare: attribuire valore al lavoro stabile e disvalore al lavoro non stabile. Abbiamo già detto più volte che vanno considerate con il massimo rispetto le esigenze di chi ha o ha avuto il posto fisso e si aspetta di mantenerlo fino ad una pensione che sia più dignitosa di adesso così come di coloro che sono in debito con la società (pensiamo ai precari della scuola) per aver fatto parte, loro malgrado, di una umanità sfortunata in cui sono stati illusi da un miraggio, quello appunto, del posto fisso. Queste fasce di popolazione non vanno punite ma accompagnate verso un miglioramento, graduale , della loro condizione. Sarà difficile (sappiamo quale peso abbia il debito pubblico) ma va fatto innanzitutto per un principio di dignità. Ma arriverà il momento (e su questo dobbiamo deciderci a voltare pagina) che nella società italiana non esistano più i termini “posto fisso” e “lavoro precario” così come oggi intesi. Quella è la direzione verso cui andare, certo, gradualmente. Un lavoratore quindi che abbia sempre una fonte di reddito anche nei periodi di passaggio, la possibilità di cambiare serenamente il lavoro più volte nella sua vita, di fare carriera, di formarsi, di migliorare. Sia nel pubblico che nel privato. E questo, in un prossimo futuro dovrà valere per tutti. Perchè l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, non sul posto di lavoro. Parimenti non dovrà esistere più di fatto il concetto di precario sinonimo di ricattato, malpagato e sfruttato e senza prospettive di serena esistenza. Su questa, che è innanzitutto una battaglia culturale, constatiamo che nessuno è impegnato seriamente. Male, poiché significa che si stanno difendendo rendite di posizione o si sta sfruttando la disperazione delle fasce più marginali del mondo del lavoro. Di solito per guadagnarci sopra . E, soprattutto ora, per fini elettorali. Analoga apertura mentale è ora sia adottata sulla questione pensioni. Qui notiamo passi in avanti rispetto alle appena ricordate contraddizioni relative ai lavoratori attivi. Si è giustamente seguita l'indicazione di rapportare l'età pensionabile alla aspettativa di vita. Ancora non si è fatto nulla (anzi si è registrato un peggioramento) nel comprendere che l'attuale meccanismo non va più bene (e sarà sempre peggio) per poter assicurare un livello di vita sufficiente ad ogni singolo pensionato. Anche qui paghiamo l'eccessivo credito dato in questi decenni agli scienziati pazzi. Ma prima o poi la situazione esploderà e come accade occorrerà mettersi a correre per evitare di sprofondare nella voragine e per fare in pochi secondi quel che ci si è rifiutati di fare per anni. Non è questa la sede per trattare col giusto approfondimento temi così delicati ma , intuitivamente, chi volesse mettersi seriamente a studiare per sciogliere questo nodo non potrebbe prescindere dall'affrontare alcuni tabù che prima o poi verranno infranti. Il primo è quello dei cosiddetti diritti acquisiti. E' la giustificazione oggi più forte alle peggiori schifezze tuttora presenti nella giungla pensionistica. E, temiamo, sia una giustificazione strumentale, interessata e non più tollerabile. Così come avviene per esigenze di ordine pubblico, è bene si cominci a pensare a leggi eccezionali anche per abbattere privilegi pensionistici non più sopportabili per la gran massa della popolazione. Dobbiamo deciderci cioè se questo paese lo vogliamo salvare o no. Poi, collegato a quanto appena detto e alla vicenda esodati , forse è arrivato il momento di pensare di trovare dei rimedi per cui anche chi ha maturato il diritto alla pensione possa se lo vuole e non rimettendoci tornare nel mondo del lavoro regolare (e non solo di quello nero come oggi accade). Ripetiamo, possono apparire affermazioni scandalose e dissacratorie, ma sarà ciò di cui si parlerà quando si accorgeranno che non ci sono più soldi per venire incontro a tutti gli esodati. Non date retta a chi vende analisi interessatamente confuse: non esiste concorrenza tra vecchi e giovani, non esiste mancanza di lavoro indotta dalla crisi . La realtà vera è che la concorrenza c'è tra chi ha voglia di lavorare e mettersi in gioco e chi ha un atteggiamento passivo. E che la crisi di lavoro è la crisi di creazione di posti fissi. Chi conosce la realtà sa che è così e il rifiuto dei partiti e dei sindacati di accettare questa verità deriva dal fatto che questo meccanismo, se liberato, provocherebbe l'inutilità della macchina burocratica, dei posti assegnati in maniera clientelare, dell'assistenzialismo e del parassitismo (politico e sindacale). Altro tabù da abbattere sarà quello delle retribuzioni. L'art. 36 della costituzione è inadeguato e irrealistico. Così come l'apparato dei CCNL. Occorre, siamo in emergenza, che venga posto un tetto alle retribuzioni massime e vengano innalzate quelle minime ossia i salari e gli stipendi dei lavoratori e le pensioni degli anziani. E che venga assicurato un reddito minimo a chi momentaneamente non lavora. Dove si trovano i soldi? Basterà fare un gigantesco sondaggio in rete a costo zero perchè i riflettori si accendano su situazioni di privilegio e spreco di cui giornali e TV spesso non parlano. Basta volerlo. Da ultimo , un consiglio: non fidatevi di economisti e giuslavoristi falliti, personaggi tragicomici che o portano sfiga o fanno la figura patetica di meteorologi che non azzeccano mai il tempo che farà. Noterete che in questi giorni scrivono a iosa bocciando alcune proposte innovative che finalmente hanno avuto una consacrazione elettorale. I poverini non hanno capito che l'adozione del “ceteris paribus” nel calcolare gli effetti di ipotizzate novità è inadeguata all'esigenza di porre mano a situazioni nelle quali diversi fattori devono cambiare contemporaneamente. Questi signori non sono altro che i catastrofisti del giorno dopo, quelli chiamati a rimediare al fallimento dei menagrami e delle cassandre del giorno prima che non sono stati sufficientemente bravi nel mantenere la dote di consenso elettorale ai partiti che gli assicurano lo stipendio.

domenica 3 marzo 2013

QUASI SICURO: BLOCCO STIPENDI STATALI FINO A TUTTO IL 2014!

Ci sono state le elezioni, il parlamento è spaccato in tre pezzi e mezzo che se ne sono dette e se ne dicono di tutti i colori, è possibile governare ma solo da parte di maggioranze contro natura. Questo è emerso dal dopo voto. Solo 3 certezze per il momento: il Governo Monti sarà in carica fino all'avvento (non si sa quando) del nuovo governo, Napolitano non può sciogliere le Camere, si prenderanno solo i provvedimenti indifferibili. Uno di questi è quasi sicuro: nel Consiglio dei Ministri di venerdì prossimo verrà deciso il prolungamento del blocco degli stipendi, per gli Statali, fino a tutto il 2014.Sarebbe il quinto anno consecutivo in cui ciò accade e i già striminziti stipendi dei non dirigenti rischiano di diventare qualcosa di molto simile agli attuali assegni sociali. Accadrà pertanto una cosa molto semplice: il potere di acquisto di questa categoria scenderà ai minimi storici e senz'altro non saranno i 3 milioni di statali a contribuire, nei prossimi mesi, alla ripresa dei consumi.E non si sa neppure se servirà a qualcosa, in quanto sulle soluzioni per fronteggiare disoccupazione, recessione, debito pubblico le proposte sono numerosissime (praticamente tutte quelle riportate nei manuali di economia) ma su quali saranno quelle scelte è buio pesto. E tutti si discolpano, dicendo che la responsabilità non è loro ma degli elettori che votando non hanno scelto la via da intraprendere.In questo contesto, le dichiarazioni di alcuni dirigenti di sindacati confederali che preannunciano ondate di scioperi nel Pubblico Impiego ci sembrano penose e la dicono lunga sul livello a cui è precipitato il Sindacato italiano, incapace di utilizzare la sua grande forza per imporre soluzioni convincenti per il Paese. E' forte il rischio che la gente cominci veramente a pensare di poter fare a meno dei Sindacati, data la loro dimostrata inutilità. Poi ci si lamenta delle spinte populistiche e irrazionali, quando è l'impotenza di questi signori a non lasciare scelta.

DIRIGENTI: SHOCK OCCUPAZIONALE, CRISI PSICOLOGICA.ANCHE OBIEZIONE DI COSCIENZA?

Da anni la categoria dei dirigenti è stata considerata di fatto protetta e super garantita. In particolare la libera recedibilità non ha mai significato maggiore esposizione ai licenziamenti. Anzi. Per antonomasia, durante le tempeste economiche e le crisi produttive, erano sempre coloro che erano sul ponte della nave (lavoratori manuali e impiegati) ad essere spazzati via dalle ondate mentre la testa delle aziende, ben riparata in plancia, la faceva sempre franca. Ebbene, anche questo in Italia è cambiato, in fretta. Si parla di 10.000 dirigenti che hanno perso il posto di lavoro nel 2012 , di 60.000 dal 2006.
E' vero che quando ciò accade, dal punto di vista individuale, si tratta di un dramma non paragonabile, neppure lontanamente, a quello della perdita del lavoro da parte di un operaio o di un impiegato. Perchè il dirigente aveva uno stipendio di diverse volte superiore a quello di sussistenza (ossia a quello dell'operaio), perchè se, come capita spesso, i lauti guadagni sono stati investiti in maniera oculata (e i dirigenti hanno la cultura per farlo) , la riserva di sopravvivenza non si esaurisce in breve tempo ma può consentire di affrontare con calma la ricerca di un nuovo posto di lavoro. Perchè, sempre che non si tratti di un dirigente raccomandato (e quindi più ignorante dei propri dipendenti) si presuppone che lo stesso abbia una cultura di base e una professionalità superiore alla norma e quindi spendibile nella ricerca di un nuovo lavoro.
Ma anche qui qualcosa è cambiato, facendo precipitare nell'incertezza e nell'inquietudine molti dirigenti che hanno perso il lavoro e intimorendo, nei confronti delle rispettive proprietà, quindi rendendo più ricattabili, i manager che sentono odore di possibile esonero. Ciò nel privato, ma anche nel pubblico, al netto delle cordate e protezioni politiche, dato il processo di privatizzazione (seppure all'italiana) dei rapporti di lavoro, non sono infrequenti accadimenti traumatici attutiti per lo più però, in conseguenza delle fonti informative messe a disposizione da parte di chi ti mise su quella poltrona, da trasferimenti strategici da una Amministrazione all'altra che implicano la sostanziale stabilità della posizione dirigenziale. Ovviamente, in questo quadro, nel pubblico, i principi di trasparenza, efficienza, efficacia e raggiungimento dei risultati posti, diventano molto, molto relativi. A proposito (lo facciamo in ogni nostro intervento riguardante la dirigenza pubblica) siamo ancora in attesa che sui siti istituzionali, oltre alle retribuzioni tabellari e ai curriculum, vengano non solo riportati i premi percepiti da ciascuno ma anche , ex post, quali siano stati gli obbiettivi raggiunti che li abbiano giustificati. Soprattutto relativamente a quelle Amministrazioni nelle quali i dirigenti, tutti i dirigenti, prima delle elezioni, sono stati premiati a pioggia. E sempre per inciso, a dimostrazione che i tempi stanno cambiando, abbiamo ascoltato con attenzione, successivamente al risultato elettorale, l'intervento dell'On. Maristella Gelmini (le cui quotazioni nel PdL stanno salendo vertiginosamente, tanto che oggi di lei si parla come futuro Vice Presidente del Consiglio del Governissimo guidato, si mormora , da Matteo Renzi) la quale, analogamente a quanto fino ad oggi si faceva solo per i calciatori, ha evidenziato la spropositata retribuzione dei dirigenti pubblici rispetto ai normali dipendenti (anche questo un nostro vecchio cavallo di battaglia: non perchè si sia contrari per principio a ciò ma perchè sono troppo bassi gli stipendi degli altri dipendenti pubblici e perchè, questo Paese, per un po' di tempo, per riprendersi, avrà bisogno che, per i propri privilegi, né i politici né i dirigenti vengano odiati dalla popolazione che vive ben altra realtà di sacrifici).
Nel privato sono più avanti nella risoluzione di queste contraddizioni. Chi segue l'attività delle associazioni di dirigenti nostre concorrenti sa come le stesse da mesi denuncino il cosiddetto “downgrading”. Ossia la sostituzione, nell'ambito delle attività “core” dell'impresa del dirigente con un quadro. Un po' come se nel pubblico (non ci crederete ma era così fino alla sciagurata riforma del 1993 ) la stessa attività di direzione fosse svolta da un direttore pagato al massimo il doppio dell'impiegato o addirittura dal funzionario apicale (una volta si chiamavano IX livelli) addirittura con uno stipendio più basso. Non è raro che, a differenza che nel privato, il patrimonio culturale, il titolo di studio e la professionalità del dipendente pubblico sia inversamente proporzionale al livello di appartenenza (è noto, sono proprio i dirigenti più bravi a ricordarlo nelle loro conferenze, che in una nave il soggetto più importante è il motorista e non il comandante) e ciò dovrebbe rassicurare tutti sulla praticabilità, nel settore pubblico, di tale strada. Nel privato questi processi sono più semplici dato che c'è il profitto come metro di paragone e supremo giudice delle capacità esplicate.
Vita più dura, quindi, per il manager il quale deve ricollocarsi, diventare più flessibile, spesso accettare un posto di quadro, rischiare di più in aziende più dinamiche, lavorare in aziende meno strutturate dove è maggiore il protagonismo e quindi l'invadenza della proprietà e quindi dell'imprenditore che, rimettendoci di suo, va poco per il sottile. Rimane l'estero? Magari. I nostri dirigenti non sono ancora sufficientemente competitivi a livello europeo o mondiale (si intende: nel mondo sviluppato). In Italia abbiamo però la cara, vecchia Pubblica Amministrazione in cui è possibile, entrando nelle grazie di qualche politico o padrino ministeriale, agguantare una poltrona, apparentemente a tempo determinato, spesso, di fatto, a vita. In teoria dovrebbe esserci un flusso bidirezionale in campo dirigenziale, tra pubblico e privato. In realtà è unidirezionale: dal privato al pubblico (o finto pubblico) con biglietto di sola andata.
Con costi tuttavia insopportabili e crescenti per il contribuente. Tanto che si teme l'arrivo anche lì dello tsunami. Che fare? Aspettare o ribellarsi a questo assetto iniquo, alleandosi con i cittadini, dimostrando che il dirigente pubblico è innanzitutto un servitore dello Stato? E cosa c'entrano con lo Stato e la Costituzione comportamenti arbitrari e illegali che rileviamo da anni nella P.A.? Nulla evidentemente e vanno combattuti. Ma non da tutti indistintamente ma , sarebbe ora, da chi casualmente si trova in prima linea, strettamente a contatto con il malaffare amministrativo. Una pubblica Amministrazione in queste condizione ha già effetti letali per molta parte della popolazione. Vogliono i dirigenti collaborare con questa ingiustizia criminale o essere i protagonisti del cambiamento? Hanno solo un modo di fare ciò. Diventare obiettori di coscienza, denunciare i misfatti della classe dirigente , essere i primi a fare pulizia all'interno delle loro amministrazioni disobbedendo a chi vorrebbe farne strumento della prevaricazione. Prima che sia troppo tardi e che l'ira popolare spazzi tutto via.

PROFUGHI: PREPARARSI ALL'EMERGENZA

Noi non siamo tra coloro che si scandalizzano quando al bar o al mercato o in TV (spesso in maniera ancora più rozza di quello che accade in mezzo alla strada) riferendosi a problemi come quello dei profughi si dicono cose del tipo: ma che ce ne importa di dove dormono o se mangiano, pensiamo prima agli italiani o ai lombardi o ai milanesi, ecc.ecc.
Come sindacato noi non veniamo né dalle biblioteche universitari né dai salotti, ma dal mondo del lavoro manuale e dagli uffici, dai posti dove si manifestano il disagio e la sofferenza di un numero sempre maggiore di italiani. E' parimenti insopportabile la sofferenza dell'italiano che perde il posto di lavoro perchè in base al CCNL il suo costo del lavoro sarebbe eccessivo accanto a quella dell'extracomunitario che agguanta quel posto di lavoro ma viene sfruttato, sottopagato e lasciato in nero, con orari e condizioni di lavoro impossibili e anche a rischio della sua vita e della sua salute. Così come è uguale la sofferenza di bambini italiani che hanno in casa il papà o la mamma disoccupati e il nonno che finisce la pensione per aiutarli, andando a raccattare all'ora di pranzo gli avanzi al supermercato o quella dei bambini stranieri che il genitore l'hanno perso nel viaggio in gommone o che sono costretti a dormire nelle baracche o sotto i ponti, al freddo, in condizioni igieniche vergognose e a mangiare quando si può, senza andare a scuola.
Ma siamo su una specie di Titanic che affonda quindi non dobbiamo stupirci che anche italiani possano dire ogni tanto qualche sciocchezza, anche involontariamente, di stampo egoistico o razzista, poiché il momento è serio, la gente teme per il futuro suo e della propria famiglia e tutti stiamo cercando il nostro posto sulla scialuppa.
La vera responsabilità, di questo e di altro, è di chi sta in alto, dei politici e dei potenti. Il governo Monti, ad esempio, non ha affrontato la questione dei profughi entro fine febbraio. E' facile immaginare perchè. Tuttavia questo colpevole atto di irresponsabilità rischia di creare ulteriori problemi alla convivenza civile delle nostre città. Sappiamo che i profughi tuttora in Italia e quelli che arriveranno sono tutt'altro che finti. Vorremmo vedere come scapperebbero a gambe levate dall'Italia i nostri connazionali che fossero vittime di droni che sbagliano, uccidendo bambini, di governi che usano armi chimiche contro villaggi del proprio paese, di milizie che praticassero vendette ed esecuzioni di massa, per esempio tramite lo sgozzamento di famiglie, nel cuore della notte. Rispetto pertanto per questi esseri umani e speriamo che cose del genere, in futuro, non capitino a noi.
Il dovere di accoglienza quindi è sacrosanto. E dovrebbe al più presto essere organizzato affinchè sia efficiente, rapido e con costi ragionevoli. Cercando di non rendere ancora più critico l'impatto sui territori, specie quelli a già alta densità di popolazione, come quello delle nostre metropoli. Perchè è ovvio che il flusso si dirigerà verso le grandi città. E' stato inqualificabile lasciare a sé stesse, da parte del governo, persone che negli ultimi due anni hanno avuto assistenza garantita e si sono trovate senza lavoro e posto per dormire da un giorno all'altro.
Apprezziamo infine l'operato di quei Comuni e quelle organizzazioni di volontariato che pur in presenza dei consistenti tagli ai finanziamenti che già conosciamo, si stanno adoperando affinchè l'Italia dia una ennesima prova di civiltà. E auspichiamo che dall'attuale diatriba politica relativa alla formazione del nuovo governo post elettorale vengano inserite, tra le 7-8 cose da fare subito, una generalizzata sanatoria degli extracomunitari che attualmente sono clandestini in Italia pur lavorando onestamente anche se in nero.

RAPPORTO IMPRESE/FAMIGLIE/BANCHE: RISPETTO PER I SUICIDI MA NON ARRENDIAMOCI

Quasi tutti individuano nel rapporto tra banche e imprese il punto di massima tensione in questa lunga fase di crisi finanziaria internazionale e recessione. Chi ha buona memoria però sa che il problema è di lunga data e mai risolto. Soprattutto in Italia possiamo sicuramente individuare un ritardo ancora più grave che altrove. I piccoli imprenditori (e i loro dipendenti, di riflesso) , lo dicono i dati, sono coloro completamente avvinghiati da questo mostro che oggi è rappresentato dal sistema creditizio. Sono crollati i finanziamenti alle aziende e quelle tra loro che ancora non hanno chiuso e riescono a pagare i loro dipendenti addirittura erogano i già magri stipendi a rate. E la stessa vita di molte aziende è messa in discussione da insolvenze e sofferenze. Prima ancora dello tsunami di Grillo è quello dei protesti che sta sommergendo l'Italia. Un taglio senza precedenti dei finanziamenti a medio termine delle imprese e dei finanziamenti alle famiglie, la diminuzione dei mutui, del mercato immobiliare e del settore edilizio (ad opera della maledizione chiamata IMU) nonché del credito al consumo, fa dire agli osservatori che è la poca liquidità il tratto caratterizzante l'attuale situazione. A fronte del dato in controtendenza dell'aumento dei prestiti bancari alla Pubblica Amministrazione (evidentemente più temuta dal sistema bancario) è l'aumento dei tempi di pagamento quello che ha strangolato le imprese. E per di più il disagio è maggiore nelle zone del Paese meno sviluppate economicamente.
Fin qui i comportamenti “macro”. Che tuttavia , nella realtà quotidiana di molti piccoli imprenditori, sfociano in drammi e tragedie. E' da mesi uno stillicidio di morti da usura e anatocismo bancario. E' una tipica guerra impari tra una potenza atomica da una parte (il potere bancario che mette al primo posto il proprio tornaconto e interesse, che conta potenti connivenze nello Stato, nelle istituzioni, nei CdA delle aziende ) e i comuni cittadini, schiacciati come formiche e debolmente tutelati da blande associazioni datoriali che fanno finta di non vedere o si sentono improvvisamente impotenti di fronte a questi attacchi . E intanto muoiono imprenditori, lavoratori, chiudono aziende, famiglie finiscono sul lastrico e, facendo terra bruciata del settore produttivo, si uccidono sul nascere le prospettive di ripresa del nostro Paese. Noi dell'AGL abbiamo scelto di combatterla, invece, questa guerra e di vincerla, stipulando, sin dalla nostra nascita, una convenzione con società che attraverso potenti software sono in grado di individuare con precisione anomalie (anatocismo e usura, illeciti civili e penali) nel comportamento delle banche e a quantificare quanto l'imprenditore potrebbe recuperare, cercando di raggiungere l'obbiettivo attraverso una strategia personalizzata tesa a scongiurare il ricorso a una giustizia ancora troppo lenta e costosa, valorizzando i mezzi di pacifica risoluzione delle controversie tra privati. Per sapere come percorrere questa possibilità, basta consultare le istruzioni e i riferimenti già presenti nei nostri siti e contattarci. Non ci risulta che altri sindacati stiano facendo cose altrettanto concrete. Titoloni quando muore suicida un imprenditore o un lavoratore, quando in una famiglia scoppia una tragedia ma poco o nulla per prevenire tutto ciò. E' triste che in un paese che si dice civile esistano ancora questi diffusi comportamenti di sottomissione da parte di forze sociali, alternative e antagoniste solo a parole, al potere economico. Prima o poi un tale problema potrebbe toccare ognuno di noi. Meglio combattere, prima che sia troppo tardi.

DISCIPLINARE LA PROSTITUZIONE FEMMINILE E MASCHILE: UNA SCELTA DI CIVILTA'

E' un po' deprimente il fatto che in Italia si riesca a parlare seriamente di certe cose o quando si sta per soffocare di debito pubblico o quando si è nel pieno di un caos politico senza precedenti. E sembra che lo si faccia apposta, in un momento in cui la massima autorità morale e religiosa presente nel nostro Paese è a sua volta in altre faccende affaccendata: la scelta del successore del Papa. Come tuttavia sostengono gli studiosi più moderni e dinamici, è proprio nelle crisi e nelle fasi di passaggio che spesso avvengono le scelte epocali. In sintesi: se non ora, quando?
Veniamo da mesi di adorazione politica del modello tedesco e fa bene chi ne trae spunto per ricordarci anche le cose più scomode. Ossia, per esempio, che la prostituzione è disciplinata, dalla legge tedesca, sin dal 2002 e la novità sembra andare benone. Perchè, detto senza malizia, trattasi di un settore che tira e tutt'altro che in crisi. In Germania, da allora, chi esercita la prostituzione può scegliere (loro si e noi no?) se farlo con un contratto di lavoro subordinato o in maniera autonoma. E c'è l'obbligo per tutti di pagare le imposte sul reddito e di applicare l'IVA a tali servizi. Tutto ciò procura un gran beneficio al gettito fiscale nazionale.
In Italia il deficit pubblico è una bestia con cui tutti i partiti dovranno fare i conti. E' un'emergenza e bisogna inventarsi qualcosa di nuovo e di socialmente sostenibile. Ripetiamo: è fuorviante e autolesionista parlare della “riapertura delle case chiuse” . Non di questo si tratterebbe e quindi senz'altro la cura della dignità e della libertà di donne e uomini sarebbe al primo posto nell'attenzione del legislatore che si occupasse di questo tema. Tra l'altro la motivazione di tale iniziativa non sarebbe solo o tanto l'eliminazione della prostituzione delle strade. L'esigenza cioè non sarebbe quella di nascondere chissà dove un ipotetica vergogna. Sulle strade avvengono, sotto gli occhi di tutti, cose molto più scandalose che l'esibizione di uomini e donne vestiti in maniera succinta e provocatoria. E, per di più, magari la prostituzione fosse solo limitata alle strade. In realtà la stessa (sia nella versione fisica che in quella intellettuale) è presente in maniera preoccupante in politica, nel giornalismo, nella cultura , nelle aziende, in nome dei soldi e della carriera. Siamo quindi ben lontani da una società fondata su solidi principi morali. Quel che è certo è che togliere dalla clandestinità la prostituzione implicherebbe un colpo durissimo agli interessi della criminalità organizzata e i più maliziosi sostengono che proprio questo è il motivo per cui la politica non se ne vuole occupare Inoltre sarebbe un adeguamento vero a quanto si fa da anni nel nord Europa. E perchè no, si offrirebbe la possibilità, sulla base di una libera scelta, di creare, anche per gli italiani (e senza limiti di età, di sesso o estetici, data la multiformità della domanda di servizi in questo campo) centinaia di migliaia di posti di lavoro regolari (e a tempo indeterminato) . Sarebbe poi uno stimolo al rafforzamento di un indotto, già esistente e, ci dicono, prospero, in campo commerciale, dei pubblici esercizi e della attività manifatturiera (è noto che molta oggettistica, in questo campo, è di importazione) con positivo effetto per la bilancia commerciale. Dato il dimostrato beneficio che tale attività (come ci viene ricordato da anni dai mass media) induce nel “cliente” dal punto di vista fisico e psichico, perchè non ipotizzare che possano essere scaricabili queste spese sul 730 al pari di quelle mediche?Vogliamo poi parlare della prevenzione delle malattie sessuali e dell'Aids , attraverso l'uso professionale dei mezzi di protezione e la possibilità che tramite la contribuzione previdenziale, sia possibile assicurare pensioni di vecchiaia a chi svolge tali attività? E un lavoro regolare a tanti stranieri oggi clandestini e in balia della criminalità?Ovviamente dovranno rimanere, anzi essere rese più severe, tutte le norme che colpiscono lo sfruttamento, relativo a quei casi in cui la scelta di esercitare tale professione non sia libera. E favorire l'imprenditorialità da parte di chi, dopo anni nel settore, ha acquisito le capacità di organizzare tali servizi e creare quindi tanti nuovi posti di lavoro, per gli italiani, in particolare, compreso l'indotto.
Legalizzare tutto ciò significherebbe offrire pari opportunità non solo alle donne ma anche agli uomini e a tutti coloro che pratichino scelte sessuali diverse e variegate, tutte degne del massimo rispetto. Coraggio Italia. Mica vorremo rimanere indietro anche su questo?